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La Ghost Town di Fumegai

  • Writer: Sara Trevisan
    Sara Trevisan
  • May 13, 2017
  • 3 min read

Sembra che il tempo si sia fermato e che abbia deciso di preservare questo angolo di mondo perché possa tramandare la sua memoria alle generazioni future. Finestre rotte, materassi avvolti in lenzuola umide e sbiadite, ciotole sbeccate e padelle storte nascoste in un cumulo di fuliggine… Questi sono solo alcuni degni oggetti rinvenibili nelle stanze dimenticate della Ghost Town di Fumegai, un luogo appartato, antico, che persevera tuttavia nell’affascinare chiunque voglia scoprire i suoi segreti.


Questa volta ho deciso di portarvi a Fumegai, una delle città fantasma meglio conservate della provincia di Belluno.

La guida interpellata per l’occasione così ha iniziato a istruirci riguardo alla storia del paese.


Guida: “Ci troviamo nella Valle del Lago del Corlo. Una volta qui si trovavano molti paesi. Quando è stata costruita la diga tutta la valle si è riempita d’acqua, sommergendo i paesi e isolando il versante Sud Est.”

Sara: “I paesini di cui stai parlando sono Fumegai, Carazzagno, Rorat e così via…”

Guida: “Invece più in qua ci sono Berti, Zanetti, Brandalise… Sono tutti raggiungibili senza problemi. Cos’è successo? I paesini erano davvero piccoli, fungevano da base per gli alpeggi e per chi aveva i pascoli in alto. Venendo a mancare il fondovalle questi sono rimasti completamente isolati. In questo massiccio montuoso c’è una valle invisibile, una valle che è stata dimenticata: la Val Carazzagno. E’ raggiungibile attraverso due ponti ed è lì che si trova Fumegai. Oggi percorreremo quello costruito in occasione della Prima Guerra Mondiale…”


Grazie alle parole della guida abbiamo scoperto che Fumegai era un piccolo paese montano abbandonato all’albeggiare del ‘900 per la sua ubicazione sfavorevole. Per arrivarci è necessaria una buona oretta di cammino attraverso un sentiero che soltanto inizialmente permette l’accesso ai veicoli normali; da un certo punto in poi, ad un incrocio che proseguirebbe per ‘la casa del cuore’, si prende la destra e ci si inabissa nel verde. La presenza di Fumegai viene annunciata da un viale di alberi dai contorni poco riconoscibili. Le case, 6 in tutto, si inerpicano lungo una parete abbastanza scoscesa, ormai del tutto restituita alla vegetazione. Gli usci solitamente non recano porte e se anche se ne trovassero, non costituirebbero un ostacolo: chiunque può introdursi senza particolari problemi all’interno delle abitazioni.


A giudicare dalla natura degli ambienti dovevano essere delle semplici case di famiglie contadine: cucine e camere da letto soprattutto, ma anche fienili e ripostigli per gli attrezzi da lavoro. Ci siamo inoltrati in questa Silent Hill senza cenere con un riguardoso rispetto, Iphone alla mano per illuminare la via e scattare qualche foto, consapevoli di calcare una terra ricca di storia. Le assi del pavimento apparivano ricoperte di polvere e vetri, come qualsiasi altro complemento d’arredo; sulle travi a vista del soffitto di quando in quando appariva la sinistra figura di un pipistrello. In questo silenzio quasi tangibile, forse per l’aria densa di profumi e l’umidità, alcune stanze non mancavano di apparirci tremendamente inquietanti; avevamo il sentore che fosse successo qualcosa di repentino che avesse costretto la gente a prendere e partire, lasciando tutto com’era. A questo proposito il ritrovamento più importante è stato una cucina arredata con un tavolo, tre sedie, un cucinino a legna e delle mensole. Sul tavolo vi erano una fiaschetta di vino, due bicchieri, due fogli, e perfino una carta da gioco, il sette di picche, appoggiato davanti ad una sedia spostata, come se il giocatore si fosse alzato da poco per prendere una boccata d’aria. Stando lì si aveva la sensazione che da un momento all’altro i giocatori di briscola sarebbero rincasati. E ci si domandava spontaneamente: “Dove saranno finiti?”

Nell’ultima abitazione abbiamo potuto distinguere degli oggetti moderni assieme a quelli più antichi, riconoscibili grazie ad uno stato di conservazione migliore e dei colori più accesi, come cuscini ricamati, coperte, sdraio e bottiglie d’olio di marca ‘olio cuore’. La guida è tornata a spiegarci che devono essere i lasciti di un gruppo di figli dei fiori che è venuto a stabilirsi nella ghost town tra gli anni ‘60 e ‘70.


In effetti molte altre cose portavano alla stessa conclusione, come i frigoriferi, che suggerivano l’utilizzo della corrente elettrica, e il ritrovamento delle tessere del Monopoli. Altri giornali, come una copia di Famiglia Cristiana e diversi quotidiani, di varie datazioni (dal 1980 al 1997), perfino una bottiglia di vino tipica degli sposalizi del 1980, lasciavano invece supporre il passaggio turistico.


E’ stata un’esperienza stratosferica e consiglio a tutti gli amici del Ramarro di viverla in prima persona. L’atmosfera che si respira in questi luoghi magici è molto particolare, il risultato di anni di storia solo in parte dimenticata. Si ha la possibilità di riscoprire un mondo ormai lontano, fatto di abitudini sconosciute e valori semplici, il tutto condito con l’alone di mistero che solo il tempo riesce a conferire assieme alla polvere.

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