Il fantastico mondo di Perghem Gelmi
- Sara Trevisan
- Jul 1, 2017
- 4 min read
La bella cittadina di Cles ha visto da poco concludersi la mostra intitolata 'Il fantastico mondo di Perghem Gelmi', sapientemente curata da Carolina Bortolotti e patrocinata dall'amministrazione comunale di Cles. Mi auguro abbiate avuto l'occasione di ammirarla, perché io stessa non avrei mai immaginato che le nostre montagne potessero nascondere un simile gioiello!
Ad accompagnarmi durante la visita è stato il figlio dell'artista Mario Perghem, al quale debbo i miei sinceri ringraziamenti, non solo per avermi dato la possibilità di scoprire il padre e il suo lavoro, ma per avermi raccontato la sua storia, arricchendola con le sfumature che solo un figlio può dare. Michelangelo Perghem Gelmi mi è parso fin da subito un artista eccezionale. Un uomo che è riuscito a raggiungere un altissimo livello artistico, nonostante una vita difficile, inserendosi senza difficoltà nel solco scavato dai maestri del surrealismo e della pittura metafisica, Magritte o De Chirico per esempio, coi quali è riuscito a dialogare, attraverso le sue opere, in maniera eccellente. Ma andiamo con ordine, parliamo dell'uomo. Ascoltando i racconti del figlio e la testimonianza di Carolina, mi sono fatta l'idea di una persona forte, dinamica e curiosa. Forte, per aver saputo sopravvivere alla deportazione nei lager nazisti dove riuscì, tra fame, malattie e atrocità, a coltivare comunque la sua arte. Dinamica, perché fu ingegnere, architetto, artista e, come viaggiatore, non rimase mai a lungo nello stesso luogo. Curiosa, perché visse ogni singola esperienza conservando l’attitudine che possiedono i bambini nei confronti di ciò che non conoscono ancora. Per quanto concerne le opere d'arte, e in particolar modo il periodo preso in esame alla mostra, confermo quanto detto poco sopra: sono il frutto di un ingegno fuori dal comune. Approfondirle tutte in maniera adeguata risulterebbe impossibile in questa sede, per cui mi dovrò limitare, mio malgrado, a quanto mi ha colpita di più. In molte tele del Perghem, e in particolar modo nel 'ciclo botanico' dei primi anni '70, il protagonista indiscusso è l'Occhio. Esso guarda lo spettatore da un groviglio di foglie, o facendo capolino da un canneto, in un'attitudine contemplativa e studiosa, come se si trattasse di un essere alieno che osserva la nostra dimensione con curiosità. Il quadro sembra un portale, creato dall'artista, che dalla dimensione dell'immaginifico si proietta sul reale e i cui contorni sono rappresentati dalla cornice fisica dell'opera. L'essere monocolare che si affaccia sulla nostra dimensione ci guarda come il più attento indagatore, quasi come se si fosse appena imbattuto nello strano fenomeno. Sembra che la pianta deforme ci bisbigli dalla tela: “Sono io ad osservare te, visitatore della mostra, non il contrario.” L'Occhio di Perghem, dai contorni così netti, privo di espressività e quindi di emozioni, potrebbe derivare direttamente dalla ragione; quando lo osservo mi viene spontaneo conferirgli l’appellativo di 'Occhio del Concetto'; o 'Occhio morale'. La convinzione che questo simbolo riconduca ad una dimensione prettamente razionale mi si rafforza nel momento in cui ponga il parallelismo tra l’occhio e l’Udjat egiziano, l'occhio del dio Horus, la cui forma stilizzata è rinvenibile in maniera completa in almeno due dipinti, 'Fiore del Deserto' (1972) e 'Tramonto' (1971). Quest'ultimo dipinto, in particolare, sembra diventare comprensibile soltanto con le premesse appena espresse: il Sole, infatti, viene considerato in molte culture un occhio onnivedente e da questo viene simboleggiato, esattamente come il dio del Sole Horus.
Il collegamento tra Perghem ed Egitto si presenta, pur se in maniera meno evidente, in 'Vascello fantasma' (1973). La nave del titolo solca le acque placide di un fiume, in lontananza si scorge una delle due rive; il colore dorato delle acque lascia intuire il tramonto, posto al di fuori dal nostro campo visivo. Sulla prua, appena visibile, si nota la figura di un uomo, probabilmente l’artista stesso. La forma della nave e la riva solitaria mi hanno istintivamente riportato alla memoria le raffigurazioni della barca solare di Cheope lungo il Nilo, alla quale era affidata la salma del morto e il compito di traghettare la sua anima in lidi ultraterreni. La domanda che sorge spontanea riflettendo su questo soggetto è: qual è la sua meta? Perghem sta navigando su questa nave funeraria che deve condurlo su una sponda nuova ed ignota, visto che lui è di spalle e non può vederla; l'unica cosa che egli è in grado di osservare è la poppa (il passato? La corrente artistica seguita fino a quel mo

mento?) Si tratta comunque di un evento sicuro e che lo cambierà, perché il giorno volge al tramonto e recherà seco qualcosa di diverso. E in effetti, da lì in avanti sembra aprirsi per lui una stagione pittorica diversa, ricca di influenze del tutto nuove. All'interno delle opere proposte dalla mostra possiamo rinvenire una serie davvero numerosa di simboli, alle volte di immediata comprensione, come l'orologio o la zucca, altre invece con un significato meno evidente, la rosa rossa per esempio. Perghem doveva essere un profondo conoscitore dei simboli e della loro storia, dal momento che la comprensione dei suoi quadri viene spesso affidata a pochi elementi in rapporto tra loro, come se ci si trovasse davanti ad un rebus da risolvere. Lo si nota soprattutto nelle opere che definirei più metafisiche, come 'Visione' (1974) e 'Sera' (1979). In queste tele, come in quelle che le seguono dal punto di vista temporale, l'artista non solo rispetta tutte le regole che definiscono la corrente scelta, ma decide addirittura di misurarsi con loro, spesso in maniera ironica, arrivando a giocare coi mostri sacri della storia dell'arte, ma rivisitati dal suo personalissimo punto di vista. L’esempio più eclatante è rappresentato da ‘Lei ed io’(1979), dove Perghem si confronta direttamente con La Gioconda di Leonardo da Vinci, dipingendosi al suo fianco ma senza cervello. In questo modo, scherzosamente, si misura col grande capolavoro dicendo: ‘Chi sono io per confrontarmi con Leonardo?’
Carolina Bortolotti, curatrice della mostra, e il figlio dell'artista Mario Perghem ringraziano di cuore l'amministrazione comunale di Cles, soprattutto l'Assessore alla Cultura Vito Apuzzo, per averli sostenuti ed aiutati nella realizzazione dell'evento. Io porgo a tutti i miei complimenti e spero che ci sia nuovamente l'occasione per ammirare queste bellissime opere!
UCT - Trentino, l'Autonomia è al bivio - Luglio 2017 - numero 499
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