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La tragedia di Cristo

  • Writer: Sara Trevisan
    Sara Trevisan
  • May 9, 2017
  • 6 min read

Oggi vi parlo di una tragedia molto famosa. La trama, se ridotta nelle linee fondamentali, sembra proporre qualcosa di già visto numerose volte: all'inizio vi è un signore autoritario, detentore di un potere smisurato, insignito dell'autorità morale di un determinato luogo. Un giorno, siccome i suoi sudditi avevano smesso di ascoltare il suo messaggio, incarica il figlio di viaggiare per le terre del regno e di riportare il popolo sulla retta via sfidando l'autorità dei ciarlatani, i quali avevano approfittato della situazione favorevole per adulare le masse. Questo figlio, intimamente buono ma inesperto, accoglie la richiesta del padre e parte, iniziando un percorso di formazione che lo vedrà affrontare prove e compiere prodigi che nessuno avrebbe potuto immaginare. Alla fine delle sue peregrinazioni, per compiere il volere del padre e salvare i suoi sostenitori, si scontrerà apertamente coi malvagi e deciderà di sacrificare la sua stessa vita. Il nome di questo eroe è Gesù.


Oggi vi voglio parlare del personaggio di Cristo, ma da un punto di vista gnostico. Che sia esistito o meno non ci interessa, almeno non in questa sede, e di fatto non cambia nulla: la validità del suo messaggio e l'importanza dei suoi insegnamenti rimarrebbero in ogni caso invariati. Ciò su cui vi invito a riflettere oggi è il significato tragico che si nasconde dietro all'alone mistico e salvifico normalmente mostrato dai preti che narrano le imprese del redentore.

Secondo quanto ci insegnano, Cristo sarebbe venuto sulla terra per mondare l'umanità dal peccato originale e mostrargli la via della salvezza, della redenzione, il modo per tornare da figli prediletti tra le braccia di un padre amorevole. Come? Mostrando a quella umanità la fallibilità delle sue leggi, la falsità dei suoi idoli e rovesciando dai troni gli usurpatori. Il popolo del Signore non aspettava che questo e le Sacre Scritture annunciavano da sempre la sua venuta. Gesù non doveva fare altro se non dimostrare la sua divinità ed insegnare all'uomo come tornare ad essere ciò che aveva dimenticato: un figlio di Dio. Le Scritture annunciavano il suo arrivo, il popolo voleva essere liberato ed alfabetizzato, Gesù aveva le carte in regola per adempiere al suo compito... E perché allora la storia che conosciamo finisce in tragedia? Come mai il nostro eroe conclude i suoi giorni inchiodato ad una croce alla stregua di un criminale? Come si spiega che i concetti cardine del suo messaggio, uno a caso 'l'uguaglianza degli uomini', dovranno attendere centinaia di anni per trovare un vaghissimo riscontro nella storia dell'uomo?

Perché Gesù commise un grossissimo errore. Gesù credette alle parole della folla e si convinse che essa cercasse realmente ciò che diceva di volere: la Libertà. Gesù credette di dover liberare l'uomo da un oppressore non voluto convinto che poi egli sarebbe stato in grado di vivere autonomamente. Ma l'uomo non voleva essere liberato, l'uomo voleva soltanto cambiare oppressore, perché quello vecchio aveva iniziato a puzzare di stantio. Gesù aveva capito di essere circondato da pecore, ma si era illuso di poter mutare il cuore di queste pecore in quello di un cervo. Peccato che le pecore erano destinate a rimanere pecore e nel momento in cui il pastore cercò di cambiare la realtà, firmò inevitabilmente la sua condanna.


«Se il profeta non accetta compromessi con l'indirizzo prevalente dell'opinione pubblica, se non acconsente alla richiesta della gente di divenire loro oppressore, se rimane attaccato al suo modo di comportarsi e alle sue credenze e, naturalmente, se non è in grado di soddisfare le aspettative della maggioranza, vale a dire di compiere miracoli, deve necessariamente morire. Il motivo, crudelmente valido, è questo: se le richieste del profeta venissero immediatamente realizzare, lo stato generale delle cose sarebbe molto peggiore, tanto per il singolo quanto per la società, del marciume e dell'immobilismo sfidati dal profeta. L'irrealizzabilità del suo sogno è data dall'impossibilità della struttura caratteriale umana di vivere, di portare avanti, di proteggere, persino di capire o di essere consapevole, del mondo del profeta senza venire colpiti da una travolgente angoscia.» ('L'assassinio di Cristo', Wilhelm Reich, Sugarco Edizioni)


Gesù era quello che era: il figlio di Dio. In quanto tale era dotato di un handicap, ovvero non poteva comprendere fino in fondo la limitatezza del sentire umano. Di fatto parlava a dei sordi, cercava di scaldare dei cuori induriti che potevano trattenere soltanto un barlume di quel carole infuso dall'esterno, per poi disperderlo nell'aria come avviene per una pietra che incontri l'ombra dopo essere stata baciata dal sole. All'uomo comune le parole ricche di speranza del Cristo dovevano sembrare bellissime, parole degne di rispetto e grande ammirazione... Una volta udite, però, deve aver pensato: 'Quest'uomo è sicuramente il Messia che stavamo aspettando. E' venuto a liberarci dai Romani e a dirci come adorare Dio.... Sì, ci libererà. Quando lo avrà fatto io starò meglio e lo seguirò. Nel frattempo, però, mi dedicherò alla mia famiglia e insegnerò ai miei figli la sua parola. Io ormai sono troppo vecchio per fare ciò che dice, saranno gli altri a mettere in pratica il suo messaggio...'

Per questo Cristo entrò in Gerusalemme da condottiero in sella ad una cavalcatura... e ne uscì avvolto in un sudario. Quando entrò nella capitale e si preparò a sfidare l'autorità politica che ivi si nascondeva, egli era circondato da ammiratori. Le folle lo osannavano e riconoscevano la sua divinità. Gesù, dal canto suo, non era una persona qualsiasi: egli era senza dubbio un Rabbino, conoscitore della sapienza talmudica, sapeva citarla a memoria e andava ad insegnare al tempio, vincendo addirittura le dispute teologiche con i farisei e gli scribi (si veda, per esempio, come affronta le cinque controversie galilaiche). Inoltre, aveva dimostrato più e più volte di essere in grado di vincere le forze del male e della morte, sanando le ferite e liberando i posseduti. Eppure, nonostante tutto, lui morirà letteralmente abbandonato dai suoi sostenitori. La folla sceglierà Barabba. Perché? Perché l'uomo non voleva essere salvato, non voleva liberarsi dagli oppressori, ma voleva soltanto un nuovo leader da seguire. L'uomo era intimamente impossibilitato ad assumersi la responsabilità richiesta da quella Libertà nuova che Gesù voleva donargli. O restituirgli, secondo quanto ci dice la Genesi.


«Non si può pensare che gli ebrei contemporanei di Cristo fossero in grado di passare in massa, in breve tempo, agli insegnamenti di Cristo. Ovviamente, avrebbero potuto tributargli ammirazione, augurargli il successo; avrebbero potuto credere all'utilità e alla razionalità della critica rivoluzionaria che egli portava alla religione ebraica di allora, ma n

on sarebbero mai stati capaci di vivere la vita di Cristo. La loro società e la routine di ogni giorno sarebbero crollate al primo tentativo.» ('L'assassinio di Cristo', Wilhelm Reich, Sugarco Edizioni)


Gesù fece lo sbaglio di pretendere che i suoi fratelli insensibili iniziassero a mettere in pratica i suoi precetti, che assecondassero il cambiamento che stava generando. Fece l'errore di pensare che fosse possibile realizzare in terra il Regno di Dio. Fece l'errore di non adattarsi alle esigenze dei deboli che lo seguivano. Per questo alla fine la folla scelse Barabba: quest'ultimo non richiedeva loro nessuno sforzo, non pretendeva nulla, anzi era uno di loro, coi loro vizi e le loro passioni.


«Sin dal principio i medici hanno tentato di salvare i malati dalle loro malattie. Alcuni hanno usato il bisturi, altri medicine e polveri. Tutti questi medici sono morti senza speranza o aspettative. Guai al paziente che nel corso del tempo non ha avuto altra scelta se non quella di confinarsi in un letto sudicio, assistito solo dalle sue piaghe infette. E inoltre, quando qualcuno gli fa visita per prendersi cura delle sue ferite, tenta di strangolarlo. La verità che mi rende furioso e mi fa ribollire il sangue è che questo paziente malvagio uccide il medico, poi chiude gli occhi e fra sé dice:' In verità era un grande medico...' No, fratello mio, nessuno tra gli uomini può aiutarli. Per quanto abile, il contadino non può far fiorire i suoi campi in inverno.» ('La tempesta', Kahlil Gibran, San Paolo)


Uno degli insegnamenti che possiamo trarre da tutto questo è che non possiamo salvare né aiutare chi non ha intenzione di farlo da sé. E ci sarà sempre qualcuno troppo pigro e inetto che preferirà abbassare la testa piuttosto che faticare per giungere alla vetta della Libertà. Però, nel frattempo, noi siamo qui e possiamo decidere che tipo di persona essere.

Quindi la domanda è: da che parte vogliamo stare? Chi vogliamo salvare? Gesù o Barabba? Ciò che intendo chiedervi è: vorremo essere parte del cambiamento, nel momento in cui si presenterà, o ci limiteremo ad osservare qualcun altro agire al nostro posto? Nella storia dell'umanità si sono susseguite un'infinità di personalità recanti il germe del rinnovamento, ma soltanto pochi sono riusciti a capirlo e ad accogliere il loro messaggio. Molte persone, addirittura, le si sono rivoltate contro. La maggioranza è rimasta sullo sfondo aspettando che tornasse la calma della stasi. Ma noi da che parte vogliamo stare?

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