Introduzione
Nel lontano Settembre del 2014 decisi di intraprendere un incredibile viaggio alla scoperta della terra dell’onigiri, dei ciliegi in fiore, dei kimono di seta e degli spiedini di totano: il Giappone.
Per riuscire nell’impresa ed evitarmi problemi decisi di affiancarmi a Fox, un caro amico che aveva già avuto la fortuna di visitare il Sol Levante. Dovete sapere che in questo caso non è bene improvvisarsi turisti; lì, più che altrove, è consigliabile partire con un piano ben definito, dal momento che, nonostante si tratti di un paese in vasta parte simile al nostro, conserva usi e costumi molto particolari da tener presente se si vogliono evitare inutili fraintendimenti.
Prima di compiere il passo, però, bisognava prepararsi adeguatamente. Per cominciare iniziai a rispolverare il mio inglese maccheronico (poco utile, a detta di Fox, visto che il giapponese medio non lo parla); contemporaneamente decisi di apprendere almeno uno dei tre ‘alfabeti’ attualmente in uso in Giappone. Imparai a leggere l’alfabeto sillabico hiragana, qualcosa in katakana, e memorizzai alcuni kanji fondamentali come quello della parola Tokyo 東京. In questo modo sarei riuscita ad identificare le fermate della metro.
Un'altra questione da risolvere era legata al denaro: come avrei potuto pagare? Mi recai in banca e chiesi di poter cambiare 500 € nel loro corrispettivo in Yen. Allo stesso tempo mi mossi sul fronte Passaporto e svolsi tutte le pratiche per potermelo far rilasciare.
Dopo tanta attesa era arrivato finalmente il giorno della partenza: Milano Malpensa-Tokyo con Alitalia; un volo interminabile di 13 ore senza scalo, dove feci un po’ di retrogaming cimentandomi con Tetris, uno dei giochi messi a disposizione dalla compagnia, e vidi 'La Grande Bellezza' di Sorrentino.
Come prima tappa del tour scegliemmo Tokyo; successivamente saremmo andati a Kyoto, con la possibilità di vedere di sfuggita la cittadina di Nara, i Fushimi Inari e i templi nei pressi di Kamakura. La bellezza di questo itinerario consisteva nella possibilità di confrontare le due anime che si contendono il Giappone: quella tecnologica e al passo coi tempi, simboleggiata da Tokyo, e quella più legata a passato e tradizione, ovvero Kyoto.
Prima di parlare della capitale moderna nello specifico, voglio farvi entrare nel mood giusto descrivendovi quegli usi e costumi a cui facevo riferimento poco sopra. Cosa mi colpì inizialmente? E’ davvero difficile fare una selezione. Senza voler parlare della grandezza spropositata dell’agglomerato urbano, notai immediatamente i distributori di bevande, posti almeno ogni 50m, ma a volte anche meno. Proponevano acqua, the e preparati chimicissimi al gusto di caffè o the verde.Notai subito l’assenza del cibo da essi. Fox mi spiegò che la stranezza era giustificata da un’usanza squisitamente giapponese: siccome era considerato scortese mangiare per strada mentre si camminava, non esistevano distributori di snack. Per la stessa ragione non era possibile trovare i cestini per rifiuti organici lungo il marciapiede. Ricordo sorridendo l’imbarazzo che provai dopo aver mangiato una banana come spuntino mattutino, perché dovetti portarmi appresso la buccia fino all’albergo.
Un’altra cosa che mi colpì fu il divieto di fumare nei luoghi pubblici. Se un fumatore avesse voluto esercitare il suo diritto, avrebbe dovuto farlo all’interno delle apposite aree dislocate lungo le vie della città. Anche in questo caso per una questione di rispetto, ovvero per salvaguardare la salute di bambini e donne in dolce attesa.
Il giapponese mi apparve subito una persona umile con un alto concetto dell’educazione civica. Ciò si potè notare dal fatto che nessuno si permetteva di attraversare le strisce pedonali nel momento sbagliato, ed esse venivano percorse fino in fondo, senza deviare. Quando si salivano le scale bisognava sempre seguire il flusso e stare sulla destra per non ostacolare il senso contrario. Per agevolare il sali-scendi dalla metro, bisognava situarsi lungo corridoi segnalati appositamente dalle piastrelle della banchina. Tutti rispettavano le regole senza sgarrare minimamente, anche laddove sarebbe stato facile contravvenire. Voi potreste valutare quanto ho appena scritto come la manifestazione di uno zelo eccessivo, quasi ridicolo, ma io vi assicuro che non era nulla di negativo. I Giapponesi sono semplicemente abituati a rispettare le regole, perché questo migliora non solo la loro vita, ma anche quella del loro prossimo.
L’altruismo, d’altra parte, lo ravvisai in altri interessanti atteggiamenti. A colpirmi per primo fu l’utilizzo delle mascherine da parte di chi era ammalato o convalescente per evitare il contagio delle persone sane; l’avevo già visto fare dai personaggi manga, ma non avrei mai pensato che quest’abitudine fosse radicata nella realtà. L'apprezzai moltissimo, come la loro capacità di andare in aiuto dell’altro, amico o sconosciuto che fosse. Più di una volta mi ritrovai in difficoltà e venni soccorsa dal primo passante senza aver dovuto chiedere aiuto. In Italia, nella stessa situazione, gli altri avrebbero fatto orecchie da mercante e tirato dritto. Esempi molto significativi in tal senso potrebbero essere i seguenti: Fox venne rincorso dal commesso di un combini (il classico supermercato d’angolo della strada) per dargli il resto che aveva dimenticato alla cassa, suscitando lo stupore di entrambi. In un altro momento un signore, avendo notato che ci stavamo arrabattando dietro una cartina della città, ci venne in soccorso pur trovandosi dall’altra parte del semaforo; si scomodò per noi di sua spontanea volontà e rimase a spiegarci la strada finché non fu sicuro che avessimo capito. Potrei continuare con altri esempi minori, ma non voglio tediarvi.
Ora descriverò Tokyo nel concreto, nella fattispecie l’esperienza che abbiamo avuto dei quartieri di Shinjiuku, dov’era situato l’albergo, di Odaiba, famosa per il Gundam da 60m, Shibuya, considerato il quartiere della moda e della statua del cane Hachiko, poi Ueno, col suo parco enorme, e Akihabara, dove si trovano i maid café e tutto quanto potrebbe far felice un vero nerd. Alla fine di tutto saprò anche parlarvi del mio amore per il Museo Gibli.
